Lavoro e Intelligenza Artificiale

27 March 2018

Si continua a parlare di evoluzione tecnologica e di possibile impatto sul mondo del lavoro. Negli Usa moltissime persone hanno risposto ad un questionario affermando che i Robot potevano avere impatto sull’occupazione (però non sentivano minacciato il proprio posto di lavoro).

Abbiamo macchine sempre più sofisticate, capaci non solo di eseguire compiti ripetitivi, ma anche di prendere decisioni in modo autonomo. Diversi studi dicono che moltissimi posti di lavoro sono a rischio, altri studi affermano che è difficile sostituire totalmente un lavoratore, ma si può automatizzare parte dei compiti che svolge normalmente (il che significa comunque che c’è bisogno di un numero minore di persone).

Altri ancora affermano che, a fronte di una ottimizzazione del lavoro, ed una diminuzione conseguente dei costi, l’economia ripartirà e si creeranno nuovi posti di lavoro, occupazioni di tipo diverso, più ricchezza per tutti. Alla fine dell’800 l’orario di lavoro nelle filande torinesi prevedeva 16 ore giornaliere (anche per donne e ragazzi). Attraverso lotte sindacali, si è giunti progressivamente ad un orario di 40 ore settimanali.
Questa progressiva riduzione è funzionale non solo al benessere dei lavoratori, ma anche all’economia.

Nel giugno del 1932 il presidente della FIAT Giovanni Agnelli in un’intervista all’United Press sosteneva la necessità della riduzione dell’orario di lavoro. Questo non tanto per un’attenzione particolare al benessere degli operai, quanto per la relazione tra disoccupazione e calo della domanda. Il 5 gennaio del 1933 Agnelli, in una lettera ad Einaudi (che non è d’accordo), insiste sulla proposta di riduzione. Ricorda che disoccupazione significa calo della domanda. Definisce la stessa disoccupazione: “una catena paurosa”. E dopo? La situazione è rimasta congelata, o meglio è peggiorata. Banca d’Italia ha da poco pubblicato dati che affermano che in Italia un cittadino su 5 circa (23% della popolazione) è a rischio di povertà.
Inoltre Eurostat, in una recentissima ricerca afferma che un lavoratore su 8 (quindi una persona che ha un lavoro) è a rischio di povertà. Il dato italiano sui lavoratori a rischio povertà è tra i più alti in Ue (fanno peggio solo Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo). Il rischio – spiega Eurostat – è influenzato fortemente dal tipo di contratto con un dato complessivo doppio per coloro che lavorano part time (15,8%) rispetto a quelli che lavorano a tempo pieno (7,8%) e almeno tre volte più alto nel complesso tra coloro che hanno un impiego temporaneo (16,2%) rispetto a quelli con un contratto a tempo indeterminato (5,8%).

Come si vede dai dati sopra evidenziati nemmeno l’aumento dell’occupazione è immediatamente correlato ad un aumento del benessere. John Maynard Keynes nel Giugno del 1930 affermava che i suoi nipoti avrebbero dovuto lavorare non più di tre ore al giorno, perché il sistema economico potesse continuare a funzionare in modo efficace senza eccessive disuguaglianze.
Le ricerche FMI e OCSE dicono che dove la gente passa più tempo sul posto di lavoro la produttività – e il cosiddetto PIL pro capite – è minore (ammesso che questo indicatore sia ancora una misura adeguata del benessere).

Se le macchine servono a alleviare il lavoro, dobbiamo stabilire a priori se vogliamo lavorare meno con uno stipendio dignitoso, e aumentare la produttività e la qualità della vita, dei servizi e dei prodotti, o se il nostro obiettivo è la mera diminuzione dei costi delle risorse umane cioè diminuire occupati e salario.
Di soluzioni possiamo trovarne molte. Si potrebbe tassare il reddito prodotto dalle macchine, come suggerito da Bill Gates e Stephen Hawking. Oppure, lavorare meno come proposto da Keynes e molti altri e già sperimentato nei paesi più produttivi.

Noi riteniamo che ci sia bisogno di una riflessione complessiva sui problemi della nostra epoca. Dobbiamo curare l’intero sistema e per farlo c’è bisogno di buone diagnosi, indicatori approfonditi dello stato delle cose e di uno sforzo interdisciplinare che superi visioni settoriali della conoscenza.

Si rende sempre più necessario che i ricercatori di Intelligenza Artificiale lavorino insieme agli economisti, ai sociologi, agli ingegneri ambientali e a tutti coloro che siano interessati a migliorare il benessere.

(Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale)